20 novembre 2019
Non chiamatela catastrofe naturale
Portate un attimo di pazienza e leggete questo interessante, e condivisibile per tutto il territorio nazionale, punto di vista di MARIO TOZZI, geologo, divulgatore scientifico, saggista italiano, noto anche come autore e personaggio televisivo.
«La mareggiata dell'altra notte è stato un evento naturale, diventato catastrofico per colpa degli amministratori locali di ogni epoca. Ora si chiede lo stato di emergenza, ma cosa si è fatto per evitare che tutto questo accadesse?». Mario Tozzi osserva le immagini della costa ligure devastata. Legge di danni per centinaia di milioni di euro. E scuote la testa. Secondo il geólogo, in questa storia la natura c'entra poco: «In realtà è un miracolo che si possa vivere in Liguria, dove negli ultimi secoli è stato proprio l'uomo, a creare i pericoli». E quando gli dicono che a Rapallo pensano già di costruire una diga frangiflutti ancora più alta e robusta, risponde secco: «Proteggersi con le grandi opere è una sciocchezza. Bisogna capire che è tempo di fare un passo indietro». Onde alte 10 metri che per ore hanno battuto la costa. Un evento eccezionale. «Un tempo, forse. Se guardiamo quello che è accaduto nel Mediterraneo e nel resto del mondo negli ultimi 20 anni, ci rendiamo conto che questo tipo di perturbazioni a carattere violento sono aumentate nel numero, nella frequenza, nell'entità. Direi che sono manifestazioni estreme del clima che cambia. Non più eccezionali». Perché il clima è cambiato. «Ed è colpa al 95% delle attività produttive dell'uomo: lo ha confermato l'ultimo rapporto dell'Intergo vermental Panel on Climat Change, un organismo dellOnu per cui lavorano 4.000 studiosi intemazionali». La Liguria è così fragile. «Se ci volevi vivere senza rischi, dovevi lasciarla intatta come al tempo in cui a ridosso del mare c'erano solo boschi e foreste. La gente dei borghi marinari viveva arroccata, come a Porto fino o Portovenere. Avete presente le vecchie stampe di Genova? Secoli fa a Marassi non ci abitava nessuno. Poi è scesa a valle, negli alvei dei fiumi, in posti dove non si deve stare perché è pericoloso. Oppure ha trovato un giusto compromesso, come alle Cinque Terre; le ha terrazzate, spezzandosi la schiena, poi le ha protette continuando a lavorarle. Quando ha smesso di faticare, perché il turismo era più remunerativo, ha perso». Ma ormai le case — e gli stabilimenti balneari, ristoranti, i porticcioli — ci sono. «In Liguria si è costruito troppo. Anche più che nel resto d'Italia, dove ogni secondo che passa spariscono due metri quadri di territorio per fare spazio al cemento. C'è un porto turistico ogni 150 km di costa. Roba spaventosa. Non prendetevela con la natura. Serve immediatamente una legge nazionale che dica: da domani, il consumo di suolo sarà pari a zero. Ci hanno già provato, ma il progetto è rimasto fermo per tre anni in Parlamento». Abbattere e ricostruire? «No, qui non è come con i terremoti. Qui non ci si può adattare. Se questi eventi cominciano a diventare frequenti, come sembra che sia, bisogna spostarsi dai luoghi pericolosi».
Allora non resta che andarsene. O attendere la prossima mareggiata. E pregare. "Tutte le tecniche di difesa da questi problemi hanno un prezzo alto da pagare. L'alternativa è un costo altissimo dal punto di vista paesaggistico e ambientale, nel senso che per proteggermi tiro su dei muri come fanno i giapponesi per lo tsunami. Però se davanti al bar sul mare costruisco una scogliera o una muraglia, come faccio poi a vedere il tramonto? La gente in Liguria ci va per godersi le cose belle. Allora serve un passo indietro, se vogliamo parlare di soluzione geologica, che duri e abbia un senso dal punto di vista ambientale». Non c'è una via di mezzo? «Accettare che queste cose accadono per colpa nostra. Provare ad essere flessibili, resilienti. Difendere la vita e i beni quando le previsioni avvertono che ci sarà un pericolo. Fare qualche piccola opera per restituire alla natura almeno una piccola parte del suo spazio. Guai ad essere rigidi, a costruire muri: perché alla fine tutti i muri vengono sempre scavalcati, o distrutti. È solo questione di tempo". Invece a Rapallo dicono che rifaranno la diga, più alta e robusta di prima. «Una follia. Potrebbero alzare una parete di 50 metri, per essere al sicuro; ma chi andrà in vacanza in quel posto? Senza contare che magari il cambio delle correnti danneggerà la costa accanto, dove allora costruiranno una diga che danneggerà la costa dopo, e così via».
Capisco che gli amministratori locali abbiano tanti problemi e poche risorse, però la responsabilità di quanto accaduto è loro: non hanno mai fatto cessare il consumo del suolo, hanno incoraggiato gli abusivi e condonato. Chi ha governato un territorio lo ha fatto quasi sempre fregandosene del contesto ambientale, salvo nel momento dell'emergenza chiedendo la catastrofe naturale. Ma la catastrofe l'hanno fatta gli uomini».
Amici miei, è fastidioso sentirselo ripetere ogni volta, ma dobbiamo farcene una ragione e cercare di cambiare le nostre abitudini.
II clima è cambiato per colpa dell'uomo.
Occorre spostarsi dai luoghi pericolosi, per le mareggiate, come per le alluvioni, per le frane e i cedimenti, oltre che invertire la nostra folle cementificazione e cominciare seriamente a programmare una manutenzione costante a salvaguardia del nostro territorio.
Vi lascio con questo dato: 7 miliardi di euro spesi ogni anno per interventi a seguito di calamità naturali, potrebbero essere una buona base di partenza per cominciare a sanare il nostro Paese ormai al collasso idrogeologico.
Purtroppo oggi sono diffuse due logiche perverse quanto pericolose: quella della nostra superiorità tecnologica sulla natura e, ancor peggiore, quella del "speriamo che qui non accada".
Speranze e credenze che hanno portato l'uomo a stabilire un rapporto impari e sbagliato con la Natura, una superiorità che ha vita breve e che sempre più frequentemente si trasforma in distruzione, morte, rabbia e tanto dolore.
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